A volte capita di imbattersi in vecchie fotografie.
Magari riordinando la soffitta, o svuotando vecchi scatoloni sepolti nel ripostiglio, oppure durante un pranzo coi parenti in cui ci lascia andare ai ricordi e allora si tirano fuori i vecchi album di famiglia.
Ci troviamo ad essere testimoni di vacanze in posti esotici, di feste di compleanno, di battesimi, di comunioni, feste di Carnevale con costumi imbarazzanti e di feste di Natale con le tavolate di parenti.
Tante piccole istantanee, tanti ricordi fermati sulla pellicola del rullino.
Il fumetto assomiglia un po’ ad un album fotografico.
Le vignette sono le foto che l’autore sceglie di mostrare ai lettori, disposte sulla pagina a formare un racconto.
Il numero delle vignette, i personaggi che sono raffigurati, i colori usati, il tratto, il ritmo della narrazione sono gli strumenti che un autore sceglie per dare la propria impronta al fumetto.
È questa la marcia in più del fumetto: il saper raccontare attraverso tutti i suoi elementi una storia in cui ci si possa riconoscere.
Entrambi hanno però un punto in comune: il desiderio di fermare alcuni momenti, alcune storie, che per noi sono importanti.
Albhey con “Tre colpi” fa esattamente questo.
Racconta di un gruppo di ragazzi e della loro prima manifestazione, di un ragazzo che torna a casa e ritrova i giocattoli della sua infanzia e, infine, della nascita del D.I.Y grazie ai Crass.
“Tre colpi”, “three shots”, tre momenti importanti all’apparenza senza alcuna connessione ma che rivelano il loro legame ad una lettura più attenta.
Sono i momenti più significativi, i riti di passaggio, quegli istanti che hanno cambiato la storia.
La nostra, quella degli altri, quella della musica, poco importa.
L’importante è raccontare un percorso, i cambiamenti che si affrontano, i ricordi che riaffiorano, come cambiamo noi e il mondo che ci circonda.
Ma soprattutto, è importante raccontare quelle cose che ci siamo lasciati dietro a testimonianza di quanta strada abbiamo fatto.
E di quanta ancora dobbiamo farne.
Cosimo Pardi